padre Clemente Vismara

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Padre Vismara, patriarca della Birmania.

Missionario del Pime per 64 anni nel Paese del Sud-Est asiatico, ha sempre ringraziato il Signore per il dono della sua vocazione. Il ricordo in quella comunità è ancora vivo
Chi era

Clemente Vismara nacque ad Agrate Brianza il 6 settembre 1897, quinto di sei fratelli e sorelle di una famiglia dignitosamente povera: suo padre Attilio faceva il sellaio, la mamma, Stella Porta, era cucitrice. Fu presto provato dal dolore: quando aveva cinque anni morì la sua mamma (22 settembre 1902), tre anni dopo morì il suo papà (8 gennaio 1905) e i parenti - e in particolare lo zio, parroco di Bussero - non trovarono soluzione migliore che affidarlo al Collegio Villoresi di Monza.
La sua vita fu tutta un'avventura. Entrato nel Seminario di San Pietro in Seveso nel 1913, si distinse subito per la sua vivacità, che conservò anche, quando, scoppiata la prima guerra mondiale, fu chiamato al fronte come molti seminaristi: «Credevo che fosse più brutto stare in caserma - scriveva al Rettore nel novembre 1916 -, invece a sapere un po' fare e saper indurire un po' le orecchie, la si può passare un pochettino bene come la passo io. I miei compagni non sono più così cattivi come a parole vorrebbero dimostrare. Prima di levarmi e di coricarmi dico le mie orazioni in presenza di tutti e nessuno osa dirmi qualche cosa, anzi alle volte io stesso grido in mezzo alla caserma che abbiamo a dire anche le orazioni».
Non c'è dubbio: un giovane entusiasta e senza paura, che, al ritorno dal fronte, decise di passare al Pime, o meglio - come si chiamava allora - all'Istituto per le Missioni Estere, una forma ante litteram dei fidei donum, poiché era formato da sacerdoti ambrosiani a tutti gli effetti, ma che si sarebbero dedicati alle missioni. D'altra parte il suo motto era: «Il mondo è bello e la vita più bella ancora. Altrimenti a cosa serve la fede?».
Il cardinale Eugenio Tosi lo ordinò il 26 maggio 1923 e tre mesi dopo partì già per la Birmania, una regione allora ancora inesplorata in gran parte, coperta da una vegetazione incontaminata sin dalla creazione del mondo! Si buttò a capofitto nella nuova vita d'avventure e di fatica: per raggiungere la base della sua missione, Kengtung, partendo dall'ultima postazione, la città di Toungoo, dovette cavalcare per quattordici giorni. C'erano alcuni confratelli, ma spesso rimaneva solo, poiché occorreva spingersi ancora più all'interno di quell'immenso e splendido paese, a Mong Ping, a Mong Lin, a Mong Piak: ogni collina custodiva un villaggio, dei poveri, dei malati, degli orfani, tutta gente buona.







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